Mal di schiena e risonanza: quando è utile fare esami diagnostici?

A cura del Dott. Castro Alfio

L’utilizzo di immagini diagnostiche (risonanza o radiografia) al giorno d’oggi è diventata una pratica sempre più frequente nella gestione delle più comuni problematiche muscoloscheletriche, e in special modo nel mal di schiena.

Quest’ultima risulta ancora essere una delle principali patologie con il maggior tasso di prevalenza nella popolazione, comportando spesso dolore e disabilità nel lungo termine e perdita della funzionalità quotidiana. A fronte di un incremento considerevole nell’utilizzo diagnostico di esami strumentali quali risonanza, radiografia o tac, il loro utilizzo sembra essere spesso inappropriato e non coerente con le attuali linee guida per la cura del dolore alla schiena. La necessità di trovare alterazioni nella morfologia e struttura della colonna vertebrale spinge spesso pazienti e medici a ricorrere fin da subito ad esami di imaging (Risonanza magnetica o radiografia), attribuendo così alle alterazioni visibili, la causa del dolore del paziente.

Ma è realmente così?

La letteratura e i dati più recenti ci dicono che gli esami diagnostici rilevano qualcosa di realmente importante solo nel 5% dei casi di mal di schiena. Inoltre solo nell’1% dei casi può essere causato da malattie gravi (es. fratture, tumori). Per di più, l’utilizzo inappropriato di risonanza magnetica e radiografie si attesta ancora al 33% circa, comportando ingenti costi e conseguenze sulla salute psicofisica del paziente.

I fattori che stanno alla base di questi dati sono per di più:

  • Mancanza di aggiornamento di medici e fisioterapisti
  • Idee errate della persona affetta da dolore che cerca una risposta in un’indagine diagnostica
  • Scarsa comunicazione tra medico e paziente: confrontarsi con il proprio specialista di fiducia può aiutare il paziente ad essere rassicurato in merito al suo problema di lombalgia

Bisogna considerare inoltre come l’utilizzo di termini complessi o tecnici forniti al paziente nel referto della risonanza magnetica o della radiografia, può comportare effetti negativi sulle credenze e sullo stato di salute del paziente (ansia, stress, pensieri catastrofici) aggravando il mal di schiena. Sarebbe opportuno piuttosto utilizzare un linguaggio quanto più semplice possibile, cercando di non allarmare il paziente ad ogni singola alterazione visibile agli esami di imaging.

Ma allora il dolore alla schiena cos’è realmente?

La forma più comune di lombalgia è quella che viene chiamata in gergo tecnico “non specifica” cioè una problematica che non può essere associata a patologie note o specifiche, ma può sottendere a fattori quali: sovraccarico nella vita quotidiana, ansia, somatizzazione, stress, paura di muoversi (che a sua volta porta a rigidità).

E se alla risonanza magnetica riscontro un’ernia, cosa devo fare?

La prima cosa da fare è non allarmarsi!

È fondamentale sapere che la presenza di alterazioni del disco intervertebrale e della sua morfologia è presente in larga scala anche nei soggetti asintomatici e in special modo negli individui sopra i 50 anni di età (circa 90%).

L’immagine sopra riguarda uno studio del 2015 dove è stata indagata la presenza di alterazioni degenerative associata all’età in soggetti asintomatici. Pensate, a 40 anni 1 soggetto su 3 ha una protrusione e non ha mai avuto dolore. Il ‘bulging’ addirittura è presente in 1 soggetto su 2.

Cosa dobbiamo comprendere?

La maggior parte delle alterazioni morfologiche e strutturali della colonna è pressoché comune all’avanzare dell’età, non causa sintomi e quindi è da associare a segni di invecchiamento. La nostra schiena “invecchia” così come i capelli diventano bianchi e le rughe aumentano, ma questo non vuol dire che dobbiamo avere dolore.

In aggiunta a questo, altri studi condotti su pazienti affetti da problematiche al disco (ernie massive, protrusioni ecc) hanno dimostrato come il riassorbimento spontaneo o la sua disidratazione avvenga nell’arco medio di 9 mesi, con un miglioramento della sintomatologia già nelle prime 6 settimane.

Ma allora quando dovrebbe essere consigliata la chirurgia?

Le attuali linee guida consigliano il ricorso alla chirurgia nei casi in cui il trattamento fisioterapico non abbia portato significativi benefici sulla condizione clinica del paziente con mal di schiena. Altresì, può essere considerata una strategia indicata nei casi di dolore non remittente, associato a deficit neurologici progressivi e una durata che vada dai 6 ai 12 mesi. Nei restanti casi, il trattamento fisioterapico incentrato su terapia manuale, esercizio terapeutico e informazioni al paziente per gestire in autonomia il problema rappresentano le migliori strategie per la gestione di mal di schiena acuto e cronico. Quanto emerso fino ad ora ci fa capire quanta confusione e inesattezza sussista ancora oggi sulla corretta gestione del mal di schiena e sull’utilizzo di esami di imaging.

Comprendere le attuali evidenze e assistere il paziente secondo un aspetto più globale che puramente strutturale porterebbe miglioramenti sostanziali nel percorso di recupero del paziente. E ricordate, prima di fare un’indagine è sempre meglio confrontarsi con il vostro specialista di fiducia perché non sempre è necessario fare indagini!

FONTI BIBLIOGRAFICHE

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